mercoledì 30 aprile 2014

Tutti dicono che sono un bastardo (Francesco Boezi su L'Intellettuale Dissidente)


Recensione di · 30 aprile 2014


Leggendo il libro di Roberto Alfatti Appetiti, Bukowski te lo ritrovi davanti. In tutta la sua complessità. A dire il vero, ti viene anche una sottile paura per quello che il personaggio in questione potrebbe pensare di te che stai solo cercando di carpirne, mediante la lettura di questa biografia, l’essenza letteraria ed esistenziale. Bukowski è uno scrittore che l’adagio inglese tanto in voga definirebbe “border line”. Questo lo si evidenzia nell’immediato già dalle prime pagine. Ed un po’ lo si sapeva. Alfatti Appetiti, però, lo descrive nelle sue piùsconfinate particolarità,oscene o meno che siano, sino a disegnarne un’icona, sempiterna sicuramente, ma particolarmente sul pezzo in quest’era di riappropriazione del gusto del netto, del deciso. Sì perchè il ” dannato” Bukowski si è preso parecchia fetta delle nuove generazioni le quali vanno aforismando in giro per i social network, cercando di riproporre le massime del nostro. Probabilmente per il vecchio Hank questi citatori sarebbero finiti nel novero di quelli che non ci avevano capito un tubo. Di lui e della vita. Ma tant’è che questa biografia ci aiuta, una volta per tutte, a farci un quadro preciso di chi sia realmente stato Bukowski ma anche di chi Bukowski non sia mai stato e chi non sia mai voluto essere.
Bukowski era un narcisista. A Bukowski piaceva se stesso più di ogni altro scrittore e probabilmente più di ogni altra persona. E ripudiava la maggior parte dei suoi lettori: «Sono salito sulla pedana e ho aperto una lattina di birra. Mi acclamavano mentre scolavo la lattina. Erano degli stronzi, erano i miei lettori». Questo lo faceva negli odiati reading durante i quali era capacissimo di leggere un discorso di Hitler senza citarne l’origine pur di ottenere uno scrosciante applauso e bearsi della sua bravata e di averla messa in quel posto ai tanti antitedeschi suoi contemporanei culturali. Bukowski non era un nazista ma faceva il nazista. Aveva assunto quest’atteggiamento ai tempi del college perchè non sopportava che l’antinazismo imperante si trasformasse in realtà in uno spirito antitedesco di fatto e Bukowski alle sue origini ci teneva. Hank era un alcolizzato, ah questo sì. Non ne faceva mistero nè lui nè possono mentire i suoi ricoveri ospedalieri. Una patologia presa da piccolo, un po’ per le botte del padre, un po’ per il male di vivere. E poi ad Hank piacevano le donne più di qualsiasi altra cosa sulla faccia della terra. L’autore della biografia lo fa capire benissimo quando ci dice, citando, che Bukowski aveva il problema di divenire praticamente ossessionato dalle donne con cui faceva l’amore. I suoi non erano innamoramenti, erano discese nell’irrazionale platonico: Ho imparato più dalle donne di strada che mi sono scopato negli alberghi putridi di quanto ho mai imparato da Kant, Faulkner, Tolstoj, Balzac…”; Shakespeare “. Alcool, donne anticonformismo militante. Altro che pacifismo e pensiero nichilista. Questa una delle tesi centrali del libro di Alfatti Appetiti: la tesi secondo la quale Bukowski sarebbe stato un autore beat a tutto tondo è un’appropriazione indebita. Anzi, era contro i pacifisti ed era ben contento di dichiararlo pubblicamente.
” Tutti dicono che sono un bastardo. Vita di Charles Bukowski” è un libro che andrebbe letto seriamente anche per comprendere come sia semplice per la stampa dominante, prendere un autore, rivoltarlo e farne quel che di più comodo ed utile serve all’ideologia del momento. E’ successo a Bukowski ad altri e succederà ancora ed è una fortuna che ci sia ancora chi, con un lavoro certosino ed evidentemente districato data la complessità del personaggio, cerca imperterrito di restituire qualcuno, in questo caso uno scrittore, alla sua immagine più veritiera, politicamente, culturalmente e storicamente. Splendide sono le pagine dove viene descritto il rapporto immaginario che il nostro ha con Celine, l’unico scrittore che Bukowski abbia ritenuto saper scrivere meglio di lui. Un irregolare tout court che andava restituito alla sua splendida ed inquietante bastardaggine e tolto dalle mani degli ideologi al servizio del pensiero unico. Bukowski non era di sinistra, è forzato dire che fosse di destra ma assolutamente, con questa biografia, viene destrutturata la favola del Bukowski hippye che tanto ha fatto comodo. Bukowski, a sua detta, ha una sola etichetta attaccata sulla spalla, quella di bastardo di cui andava fiero. Un bastardo che andrebbe letto per comprendere quegli anni e come gli oppositori del pensiero beat e dell’americanismo assoluto non si nascondessero affatto.
Fonte: L'Intellettuale Dissidente

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