venerdì 6 aprile 2012

L'ossessione del futuro (Philip K. Dick a trent'anni dalla morte)

Da Area di marzo 2012

«La mutevole informazione che noi percepiamo come mondo è una narrazione in via di svolgimento». Se per apporre la parola “fine” alla vicenda umana di Philip Kindred Dick è stato sufficiente un certificato di morte – fatale l’ultima crisi cardiaca, il 2 marzo 1982, all’età di cinquantaquattro anni – non lo è altrettanto maneggiarne l’opera, vastissima, confinarla entro un genere o in un determinato spazio temporale, per quanto la fantascienza sia “oltre” per definizione. Perché le suggestioni, le visioni, le prospettive che ha seminato in racconti e romanzi sono continuate a fiorire negli ultimi trent’anni in nuovi film e in libri di altri autori, non necessariamente di fantascienza. Figli suoi, anche chi ne è meno consapevole. Anche chi trascura di riconoscerne i meriti. Anche chi saccheggia impunemente senza dire grazie.

Su tutti gli interrogativi lasciati da Dick, quello principale rimane il più attuale: cosa è reale e cosa non lo è? Siamo in grado di dare una definizione di reale? Siamo sicuri di esistere – ci mette in guardia Dick – o la nostra vita è solo un maledetto Truman Show? Film, quest’ultimo, girato nel 1998 da Peter Weir e non a caso intriso di influenze dickiane (in particolare riferite al romanzo Tempo fuor di sesto) anche se lo scrittore statunitense non viene citato, neanche nei titoli di coda.
«Hanno disegnato questa realtà come più gli faceva comodo: secondo un’alternanza di conflitti violenti, leader mediocri e merci da consumare in cui tutto è marchiato e in vendita», dice il Dick tratteggiato nel graphic novel dedicato allo scrittore, realizzato dallo sceneggiatore Francesco Matteuzzi e dal disegnatore Pierluigi Ongarato (BeccoGiallo, pp. 128), arrivato nelle nostre librerie il 7 marzo.
La sua incessante indagine sulla realtà, sulle realtà – perché la fantascienza non è semplice evasione, come qualcuno insinua, ma può rappresentare anche uno sguardo “altro” sulle possibilità alternative – non si è fermata con il battito del cuore. Autore di culto negli States e in Europa, soprattutto in Italia e Francia, solo da morto ottenne, grazie alla consacrazione cinematografica,  la fama e il rispetto della critica: ciò che in vita aveva nello stesso tempo desiderato e temuto.
«Non crederete che la realtà che ci circonda sia solo quella che vediamo. Come le scenografie teatrali nascondono le impalcature che le sorreggono, così il mondo ci nasconde le strutture sulle quali è appoggiato». Il fine di Dick è proprio questo: rendere visibili le travi sotto il pavimento dell’universo. Fantascienza pura, certo, con alieni spesso camuffati da umani, amici e parenti che nascondono la loro vera identità, sottoposti a lavaggio del cervello, spie o fantasmi. Chi metterebbe la mano sul fuoco, del resto, per il proprio vicino? E ancora: replicanti più o meno affidabili, innovazioni tecnologiche stupefacenti, inimmaginabili (tanto più se contestualizzate agli anni in cui Dick le tirava fuori dal cilindro) e le problematiche connesse alle società multirazziali che, all’epoca, non si erano ancora palesate. Il pianeta Terra è sempre più invivibile, schiacciato tra un sovraffollamento dovuto in larga parte agli asiatici e un inquinamento che produce una nebbia perenne, densa e claustrofobica. Grattacieli e monumenti assemblati da un urbanista folle. Della bellezza di un tempo non rimane traccia. Chi può permetterselo, si trasferisce nelle colonie extramondo. Poveri e malati, da parte loro, cercano di sopravvivere. Uno scenario agghiacciante. Di cosa parliamo? Di Blade Runner, il celebre film di Ridley Scott ambientato in una Los Angeles distopica dell’anno 2019, la prima pellicola tratta da un’opera di Dick. Uscì nei cinema americani il 25 giugno 1982, quattordici anni dopo la pubblicazione del suo Il cacciatore di androidi (Do Androids Dream of Electric Sheep?). L’autore non fece in tempo a vederla nelle sale, ma riuscì a visitarne il set.
Difficile tenere il conto dei lavori di Dick a cui si sono (sin troppo liberamente) ispirati registi e colleghi. Alcuni lo hanno fatto dichiaratamente, come Steven Spielberg in Minority Report, film del 2002 tratto dal racconto breve Rapporto di minoranza del 1956. Se il regista americano, prima di iniziare le riprese, dovette convocare un gruppo di futurologi – esperti del MIT, del dipartimento di ricerca biomedica alla difesa, di software e di realtà virtuale – perché immaginassero per lui una Washington del 2054 credibile, Dick quasi mezzo secolo prima, nella sua lucida visionarietà, aveva già tutto chiaro in mente. Sua l’idea, geniale, della squadra “precrimine”, grazie alla quale la polizia riesce a impedire gli omicidi prima che essi avvengano. «Immaginate un mondo senza omicidi», è il tema ossessivo che si ripete nel film. Come? Basandosi sulle premonizioni di tre individui dotati di poteri extrasensoriali di precognizione amplificati, detti precog, la squadra, capitanata dal detective John Anderton/Tom Cruise, riesce a intervenire prima che il reato venga commesso.
E non è certo un reato quello commesso da tanti registi che, meno elegantemente di Spielberg, si sono limitati a “pescare” qua e là nell’immaginario dickiano, non sempre a proposito, spesso stravolgendone le intuizioni, banalizzandole. Terminator, la trilogia di Matrix dei fratelli Wachowski, Inception, L’esercito delle 12 scimmie, The Island, sono solo alcune delle pellicole – tra le più celebri – ad avere un debito nei confronti dello scrittore di Chicago. Sin troppo riconoscibili i suoi temi: il confronto/scontro tra essere umani e non umani, le allegorie sociopolitiche, l’impatto dei mass media e della televisione in particolare sulla vita quotidiana dell’uomo qualunque, alla cui psicologia è rivolta un’inusuale attenzione. Perché, pur senza rinunciare a robuste dosi di fiction, i suoi libri non mancano di restituire l’atmosfera degli anni cinquanta e sessanta di Eisenhower e Kennedy, con annesse speranze e contraddizioni.
Tutto ebbe inizio con i racconti, dall’esordio nel 1952 sulla rivista Planet Stories. Dalla metà degli anni Cinquanta si avventurò nei romanzi, confortato dal buon riscontro di pubblico de Il disco di fiamma (1955). I primi capolavori, tuttavia, arrivano nel decennio successivo. La svastica sul sole (The Man in the High Castle nella versione originale, pubblicata anche come L’uomo nell'alto castello), è del 1962. Gli Alleati hanno perso la seconda guerra mondiale e nazisti e giapponesi dominano il mondo. Una miscela di ucronia e fantascienza, la prima di tante sperimentazioni che ne faranno il pioniere del cyberpunk. Con il romanzo Ubik, poi, si misura sul terreno degli scrittori postmoderni più brillanti, da Vonnegut a Pynchon. Neanche i problemi con la droga, la casa invasa dagli sbandati che lo scrittore ospitava e coi quali s’impasticcava, e l’irreuieta vita sentimentali (matrimoni, cinque in tutto, e relative separazioni) ne arresteranno il talento. Al contrario, farà di quell’esperienza materia d’ispirazione per testi stranianti come Un oscuro scrutare (A Scanner Darkly), tradotto in italiano da Gabriele Frasca e da cui è stato tratto l’omonimo film del 2006.
Per chi volesse ricostruire le tappe di colui che Ursula Kroeber Le Guin, considerata da molti una delle principali autrici viventi di fantascienza, ha definito «il nostro Borges», piuttosto che affidarsi a una biografia “tradizionale”, consigliamo il richiamato graphic novel scritto da Francesco Matteuzzi. Nato a Firenze, giornalista e autore di libri per ragazzi, Matteuzzi ha collaborato a varie serie a fumetti e nel 2010 ha pubblicato, sempre per BeccoGiallo, Anna Politkovskaja, biografia della giornalista russa assassinata in circostanze misteriose. Arricchito dai disegni in bianco e nero di Pierluigi Ongarato, illustratore, scultore e scenografo di Castelfranco Veneto, il romanzo a fumetti inizia con il primo dramma della famiglia Dick, evento che segnerà inevitabilmente il giovane Philip. La morte della gemella Jane Charlotte. Entrambi erano nati il 16 dicembre 1928. Jane, però, morirà appena sei settimane dopo, per denutrizione. «Siete gemelli e quindi inseparabili, lei vivrà per sempre insieme a te. È per questo che ho fatto incidere il tuo nome sulla lapide accanto al suo. Quando tu morirai verrai seppellito qui, al suo fianco, non vi dividerete mai». Così gli dice il padre, non pensando che quella presenza/assenza sarà una costante nella vita dello scrittore.
A dodici anni il primo incontro col mondo immaginifico della fantascienza: si imbatte in un numero di Stirring Science Stories. A vent’anni lavora in un negozio di dischi, una fabbrica di mogli. Lì incontrerà le prime due di una lunga serie: Janette e Kleo, militante comunista di origine greca. Per Anne, la terza, Dick si lancia anche  nella potenzialmente più remunerativa narrativa mainstream, salvo ripiegare verso la passione originaria. Matteuzzi si sofferma anche sul “pacifismo” di Dick. Dopo il trasferimento in California, frequenta l’Università di Berkeley ma la decisione di non sostenere il corso di addestramento militare obbligatorio – il ROTC – gli costerà la fine degli studi. «È assurdo che le nostre scuole prevedano che per gli studenti sia obbligatorio imparare l’uso delle armi. L’università dovrebbe essere una fonte di cultura, non di violenza. Se non ho continuato gli studi è stato solo per questo», racconta nel graphic novel. L’ossessione di essere sorvegliato dai servizi segreti si fa sempre più straniante. Una paranoia amplificata dall’abuso di anfetamine, che gli costa un lungo e difficile periodo di disintossicazione in una comunità di recupero per tossicodipendenti. Sempre in “compagnia” della sorella Jane. «E se fosse lei a essere viva e lui uno spettro?», si domanda. Dopodiché Dick fa ritorno nella California del Sud. Investirà gli ultimi anni  di vita per dare alla luce la trilogia di Valis, una specie di ricerca teologica, una ricerca del divino allergica a ogni dogmatismo, chiamata anche la divina invasione, un mix di fantascienza, iper-realismo e avantpop.
«La realtà è quella cosa che, anche se smetti di crederci – spiega il Dick di carta e inchiostro – non sparisce».
Tavole a parte, l’opera è completata da una dettagliata cronistoria, da una bibliografia in cui sono inclusi romanzi, racconti, lettere e documentari. Una mappa utilissima per chi voglia approfondire la conoscenza col suo mondo, neanche troppo dissimile dal nostro.
Roberto Alfatti Appetiti

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