mercoledì 27 aprile 2011

Il derby della Madonnina? E' una sfida tra letterati (di Giovanni Tarantino)

Articolo di Giovanni Tarantino
Dal Secolo d'Italia del 26 aprile 2011
«Avevo una certa preferenza per il rossonero, non so per cosa di diabolico o di anarchico che ci vedevo, quei colori fecero ch’io diventassi milanista. Il Milan, del resto, era la squadra degli intellettuali, degli artisti, dei letterati». Queste parole di Giansiro Ferrata, insigne critico letterario e fondatore della rivista Solaria, sembrano cogliere il senso di una domanda: «Esiste una via rossonera – in senso milanista – alla letteratura?». 

Negli ultimi anni il ribaltamento delle prospettive che aveva reso celebre la vena artistica dell’Inter, trova il suo contraddittorio nel libro di Sergio Giuntini, Pape Milan Aleppe. Il Milan è un linguaggio di poeti e prosatori (Sedizioni, pp. 85, € 11). Afferma l’autore: «I signori bauscia, nonostante l’atavica supponenza dovranno continuare ad invidiarci. Imitarci o superarci no, perché anche mettendocela tutta non ne saranno mai capaci. Troppo diabolici noi, per il loro catto-interismo».
Sergio Giuntini è un intellettuale, storico, autore di molti saggi, e al di là di una pregiudiziale durata oltre un ventennio, sostiene l’esistenza della «via milanista alla letteratura». Narra come in un romanzo gli eroi che hanno fatto grande il “diavolo”, da Liedolhm a Baresi, da Rivera a Van Basten, da Gullit a Schiaffino. Ma a giocatori e allenatori affianca letterati e poeti, giornalisti e scrittori, menzionati con un linguaggio pieno di eccessi ironici, ma tutti con cognizione di causa. Spuntano quindi Pierpaolo Pasolini e Luciano Bianciardi, Leonardo Coen e l’indimenticato Beppe Viola. Non mancano rimproveri al milanista «rinnegato» Gianni Brera, che in vita si è professato genoano. Il colpo di scena si ha quando entra in gioco la donna, accostata al calcio: ecco, dunque, il ricordo di diversi stupori di Camilla Cederna e Oriana Fallaci di fronte a Gianni Rivera, «l’abatino che a vent’anni valeva già come un jet bimotore, un Rembrandt, un Botticelli e due Cezanne».
Giuntini gioca con i clichés, smonta il «perbenismo interista» di quel tifoso che «torna a casa e picchia i figli» (Beppe Viola), che esalta il presidente “petroliere ecologista” cui contrappone, con ironia il “presidente operaio”. Rivendica, ridendo ma neanche troppo, il diritto di esistere al di là delle persone e dei finanziatori. Al di là dei governi e delle ideologie. Avoca a sé gli scrittori milanisti, si pone a capo di una colonna di indiavolati per partire all’assalto del fortino nerazzurro. «Altroché interismo–leninismo». E per una volta, suo merito maggiore, trasforma il calcio in una roba da ridere.
Giovanni Tarantino

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